FRAMMENTI DI UN DISCORSO SUI LUOGHI COMUNI         
LETTERA [ Z ] -  ZENO (LA COSCIENZA DI)

La lettera (Z) non offre molte parole. Avrei potuto scrivere qualcosa sugli Zingari o sullo Zelo e il suo legame con Gelosia, ma rischiavo di ripetermi. Così ho pensato di anticipare, almeno in parte, un elemento del mio prossimo blog che avrà a che fare con la letteratura.
Zeno Cosini è dunque d’obbligo. L’aspetto letterario sarà qui solo marginale, mentre svilupperò quanto ha a che fare con i luoghi comuni. Il romanzo infatti svolge abbastanza bene una serie di temi legati ai luoghi comuni. Proverò qui a metterli in evidenza.
1)L’idea di romanzo. La coscienza di Zeno è un romanzo molto apprezzato ma poco letto, o almeno letto più per dovere che per piacere. Non è certo il libro da tenere sul comodino e da seguire capitolo dopo capitolo attraverso una trama da svelare; in questo senso anche I promessi sposi risultano essere pieni di maggiore suspence: fin dall’inizio ci chiediamo se i giovani riusciranno a sposarsi, che fine faranno Don Abbondio e Don Rodrigo e tante altre cose.
Se non fosse per la scuola il romanzo di Manzoni sarebbe molto avvincente. La coscienza di Zeno invece racconta fatti normali, molto anonimi, senza avventure, senza eroi, senza cattivi: matrimonio, amore, lavoro, famiglia, il tutto inserito in una modesta cornice riferita alla psicoanalisi. Qualche critico ha anche annotato che il romanzo è scritto male.
Ecco il luogo comune. I romanzi devono piacere.
Questo è invece un romanzo che parla di noi e a noi: leggerlo per sapere cosa succede o per conoscere la società italiana di inizio ‘900 non ha senso. Il senso sta invece in una lettura fatta pagina per pagina, attraverso le riflessioni di Zeno e fare in modo che esse diventino le nostre. Zeno scompare e appare l’Io. Io. Ma per fare questo occorre volerlo fare. Se non si è pronti è meglio usare il libro per puntellare la gamba del tavolo.
2)Salute e malattia. Utilizzando anche altre riflessioni di Svevo possiamo sintetizzare con la seguente espressione: “I veri malati sono i sani perchè non vedendo la propria condizione non possono guarire. Al contrario dei veri sani che sono coscienti della propria condizione di malattia.” La condizione dell’uomo moderno è ben oltre quella degli uomini primitivi, che era più vicina agli animali, il cui comportamento è di fatto determinato dall’evoluzione: quelli non possono cambiare. L’uomo, e soprattutto quello moderno, ha dato vita all’anima che invece è molto complessa e la sua complessità cresce, così che la malattia è la condizione natural-culturale dell’essere umano. Ma la malattia è in realtà la condizione di salute, perchè è la vita: “Dolore e amore, poi, la vita insomma, non può essere considerata quale una malattia (solo) perchè duole”. Spesso Zeno riconosce la sua pazzia, attraverso le parole degli altri e sue; si tratta di una condizione comune su cui intende lavorare.”Resta però assodato che tu sei un pazzo.” Gli dice il padre.
3)La psicoanalisi. Con tutto il rispetto per i conflitti e le interpretazioni freudiane, per gli archetipi junghiani, per il linguaggio lacaniano qui ci troviamo di fronte a una sfida del povero Cosini Zeno che non ha bisogno del Dottor S. per migliorare la propria condizione. Il romanzo è la trascrizione della sua esistenza e le pagine che si susseguono vanno oltre alla dimensione narrativa, sviluppando una continua riflessione. I fenomeni e gli epifenomeni lasciano posto al senso. Zeno ci racconta la sua storia, divisa secondo alcuni nuclei importanti, ma non si limita a farci entrare in casa sua: ogni episodio è affrontato alla luce di una riflessione che tocca aspetti intimi. Il pregio del Dottor S. è solo quello di aver invitato Zeno a scrivere e scrivere, soffermandosi in continuazione per non perdere ogni traccia della sua non eroica esistenza. A Zeno non interessa criticare la psicoanalisi, ne fa semplicemente a meno. E noi troviamo un’alternativa nella letteratura: leggere I fiori del Male, l’Ulisse, Ossi di seppia, Enrico IV o  La coscienza di Zeno non è un godimento per l’anima, ma un’indicazione a riflettere, entrando dentro di noi. Possiamo poi anche andare dallo psicoanalista, ma il dado è ormai tratto.
4)La verità. Tutto il romanzo ruota intorno alla fine del concetto assoluto di verità. Fin dall’inizio Zeno pone il dubbio sia su ciò che sta scrivendo sia sulle interpretazioni del Dottor S. Nella Prefazione il Dottor S. Cerca di screditare Zeno: “Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch’egli ha qui accumulate!...”
Verità e bugie sono strettamente interconnessi e più verità possono coesistere. Ancora una volta, come sempre più dimostrato dalle neuroscienze, si possono percepire eventi in modo differente gli uni dagli altri, ma ciò che conta è assumersi la responsabilità della “nostra” verità.
5)La complessità. Fin dal Prambolo Zeno, ubbidiente nello svolgere il compito affidatogli dal Dottor S., molto volenteroso, mette in evidenza non tanto la difficoltà a ricostruire una propria storia, quanto a cercare di ricostruire le dinamiche che portano verso i comportamenti e che sono fin dall’infanzia molteplici: le variabili danno vita a percorsi estremamente diversificati e non basta il semplice racconto. Quanto siamo lontani dal positivismo, da Taine, da Zola e dalle pretese leggi scientifiche del naturalismo che riducevano i comportamenti umani alla razza, all’ambiente e al momento storico.
Conclusioni.
Zeno siamo noi, come Mattia Pascal come Vitangelo Moscarda come tanti altri personaggi che nel corso degli ultimi 150 anni hanno popolato la letteratura mondiale e l’hanno animata con storie spesso curiose, ma soprattutto con riflessioni che non hanno valore assoluto. Noi non possiamo immedesimarci nè in Don Abbondio nè in Charles Bukowski: li possiamo osservare, da una distanza più o meno grande, ed esprimere un giudizio. Possiamo concordare con le scelte di Renzo o disapprovarne l’impeto; possiamo inorridire di fronte agli eccessi di Bukoswki oppure eccitarci come fa lui. Ma restiamo comunque separati. Certo quando ci sarà la prossima rivolta del pane o manifestazione contro il G7 ci terremo alla larga; certo che in generale eviteremo di bere fino a vomitare come fa Bukowski. Tutto qui.
Leggendo invece storie meno brillanti e più anodine come quelle del povero Mattia Pascal o di Zeno Cosini o dell’Imperatore mascherato non ci preoccupiamo nè di cosa faremmo delle eventuali vincite al Casino nè del vizio del fumo nè delle conseguenze di una caduta da cavallo. Certo che no. Nè i tre hanno nulla da offrirci: non sono supereroi e neppure semplici eroi, sono persone più che normali che pongono però il lettore attento di fronte a un quesito: Perchè? Come? Che senso ha?
Non devono lottare nè realizzare i propri sogni e soprattutto non devono cercare di “essere se stessi” (come oggi va di moda dire). Sanno di essere normali, anzi più che normali, e per questo non nascondono o rimuovono ciò di cui sono protagonisti, non si illudono di diventare assessore alla cultura, CEO di una multinazionale, vero Capo di Stato. Sono inetti, inadatti alla vita che ognuna idealizza, ma adattissimi alla vita che esprimono, di cui il Caso e la Storia li ha resi oggetto e soggetto. Sono come noi e ci invitano a fare come loro, a chiedersi in continuazione il senso della loro esistenza, perchè questo è ciò che rimane nel fondo della grande letteratura.
E non importa se l’autore o l’autrice siano religiosi, vissuti 500 anni fa, omosessuali, ricchi, poveri, assassini, squattrinati, colti, cantori popolari, single, grandi amatori, viziosi, virtuosi.
Non importa neppure se scrivono in modo artefatto, forbito, colto, popolare, semplice e se i loro periodi sono brevi, lunghi, ricchi di subordinate o coordinate, ironici o tragici.
Non importa.
Ciò che importa è che sappiano dialogare con noi sul senso dell’esistenza e che lo facciano con la naturalezza che caratterizza le persone autentiche, che portano alla luce le loro paure, le loro ossessioni, i loro fantasmi: non per giustificarsi o farsi compatire, ma perchè quella è l’unica strada che ci è permesso percorrere. Ecco il grido silenzioso di Zeno Cosini ascoltato solo da poche persone, perchè la vita che la maggior parte degli esseri umani vivono è una vita idealizzata (nel Bene o nel Male), piena di proverbi, citazioni, massime, aforismi, exempla, così belli e interessanti perchè non riguardano loro, non appartengono loro.
Noi che siamo cresciuti, forse tardivamente, ma rimanendo adolescenti, noi che continuiamo a frugare nelle cantine e nelle soffitte e ci mescoliamo ai topi, ma che passiamo ogni parola che usiamo al microscopio elettronico, noi continueremo a usare la letteratura per dare un senso alla nostra esistenza, parlando non di quanto sia bello il fraseggiare dello scrittore o del poeta , e neppure se l’opera sia verosimile o poco credibile, ma quanto, come, dove, perchè quel personaggio, quelle parole, quelle frasi, quelle immagini hanno aiutato la costruzione della nostra persona, libro dopo libro, poesia dopo poesia, parola dopo parola. Perchè se “la vida es sueño” è vero anche che “los sueños vida son”.
Finchè non saremo costretti a chiudere gli occhi per sempre, avremo sempre la possibilità, e dunque la volontà, di perfezionare il quadro che abbiamo continuato a dipingere giorno dopo giorno.

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