FRAMMENTI DI UN DISCORSO DEI LUOGHI COMUNI                
LETTERA [ H ] -   HITLER




Qualcuno potrebbe stupirsi del fatto che io consideri Hitler un luogo comune, dal momento che in genere i personaggi che hanno fatto la storia, nel bene e nel male, sono realtà con cui fare i conti e non stereotipi. Il punto è che non io, ma il senso comune e molti storici hanno fatto di Hitler un luogo comune.
Cosa risponde la gente, oggi mediamente istruita, alla domanda “Chi era Hitler?”. La risposta immediata è “Hitler era un pazzo!”. Come può non essere pazzo un politico che decide lo sterminio di milioni di ebrei, per di più usando strumenti come le camere a gas? Per decenni Hitler, soprattutto in Italia, è stato l’emblema del male assoluto e dunque della non normalità. Un pazzo per l’appunto.

Devo dissentire.

Il concetto di pazzia esiste solo se accettiamo il concetto di normalità e, se ancora oggi esistono molte disquisizioni nel merito, non c’è che da stupirsi nella facilità con cui preferiamo usare questa categoria (la pazzia) per classificare numerosi eventi. Come non può essere normale la madre che uccide il figlioletto o il marito che stermina la famiglia o chi si fa esplodere in una discoteca, non è possibile considerare normale chi ha decisio di sopprimere milioni di persone. Capitolo chiuso, dunque. Torniamo alla nostra vita, al nostro vivere quotidiano di persone normali, magari non proprio felici, ma capaci solo di qualche errore: noi non siamo pazzi. Hitler è invece il pazzo per antonomasia. Criminale certo; un pazzo criminale. Insomma qualcosa di storto nel cervello. Uno squartatore di Boston all’ennesima potenza, un serial killer la cui serie è molto lunga.

Appare curioso come il Premio Nobel per la Letteratura, un italiano per l’appunto, Luigi Pirandello, morto nel 1936, avesse chiarito molto bene il rapporto tra pazzia e normalità. E simili cose aveva detto un altro scrittore  negli stessi anni, uno scrittore senza Nobel, ma certo molto letto: Italo Svevo.
Non solo, ma una scrittrice tedesca, Hanna Arendt, aveva, già nel 1951, fornito strumenti importanti per capire il fenomeno nazista, pur non entrando nel merito della persona. Ma il suo pensiero non veniva diffuso nè soggetto a giudizio (critica) perchè parlava del totalitarismo, che non era solo quello nazista ma anche quello comunista. Un paese con quasi il 50% di socialisti e comunisti doveva trovare una risposta più semplice: quelle di Arendt erano solo seghe mentali. Con l’aggiunta minacciosa di portare acqua al nazi-fascismo. Così per decenni non si poteva dire che la stragrande maggioranza dei tedeschi sosteneva Hitler: come può il popolo dei lavoratori, sostegno e luce del Comunismo, difendere l’estrema destra? Dunque Hitler aveva il potere perchè opprimeva il popolo tanto duramente da impedirgli di opporsi. E’ chiaro che se il potere nazista era basato sull’oppressione di un dittatore tutto dipendeva da lui, dalla sua persona: se si fosse limitato alla guerra e a perderla, non sarebbe stato diverso da altri dittatori della storia. Questo negare l’identificazione tra il popolo e il dittatore valeva anche per Mussolini e Peròn per l’Argentina e varrà anche nei decenni successivi per altri dittatori: il popolo non può che volere il comunismo. Questo dice la storia.

Il popolo, ancora non entrato nella scuola di massa, è molto semplice e le conclusioni che lo animano non sono molto complesse. Ecco dunque che Hitler è un dittatore e perciò è cattivo; cose che succedono. Il problema è che ha fatto qualcosa che non si era mai visto (o di cui non si era parlato molto): lo sterminio di un popolo. Un dittatore che per detenere il potere fa fuori gli oppositori rientra nella storia, ne parla anche Machiavelli, ma una persona che decide di sterminare milioni di ebrei, ebbene questo è fuori dalla storia e quindi fuori dalla comune com-prensione. La persona doveva essere pazza. Hitler dunque era pazzo.

Molto semplice e facile da digerire: dittatore, cattivo, molto cattivo, moltissimo cattivo, moltissimissimo cattivo. PAZZO.

Ora torniamo al saggio di Hanna Arendt: pubblicato in inglese nel 1951, fu pubblicato in italiano solo 15 anni dopo nel 1967 dalla Casa Editrice Comunità fondata da Adriano Olivetti, un personaggio osteggiato dalla sinistra allora dominante nel panorama culturale italiano.
Non è l’unico caso di traduzioni con ritardo e, guarda caso, sono in genere opere scomode alla cultura dominante, egemonizzata dal cosiddetto catto-comunismo, incapace di una visione più aperta.

Perchè il saggio della Arendt è importante? Perchè chiarisce quanto fosse razionale il progetto politico di Hitler, così come egualmente razionale era il progetto di Stalin. Certo possiamo ritrovare cause più specifiche e contingenti nell’affermazione del nazismo, come la pace umiliante, la crisi del ’29 e il peso della comunità ebraica nel potere finanziario; si tratta di cause reali e incisive, ma che non giustificano in nessun senso lo sterminio, mentre possono giustificare il riarmo e la volontà di rivincita. Ciò che non si è voluto vedere sono le radici culturali che hanno permesso a Hitler di procedere nel suo lucido e razionale progetto: può darsi che la maggior parte della popolazione tedesca non fosse a conoscenza dei campi di sterminio e di ciò che lì veniva realizzato. Può darsi, ma non è importante. Il punto decisivo era che quel progetto corrispondeva a una visione culturale che si era formata con la diffusione di  nuove visioni scientifiche come il darwinismo e una nuova idea della storia come progresso. Questo non vuol dire che, alla luce dei fatti ma anche grazie all’analisi critica del pensiero, questo non vuol dire che quella visione fosse campata in aria, prodotto estemporaneo di una mente malata, lugubre fantasia di un pazzo degenerato.
Il punto che non si è voluto vedere e che ancora oggi si fa fatica a vedere riguarda le suggestioni provenienti dai successi in campo scientifico e dal carattere rivoluzionario delle teorie darwiniane. All’inizio del ‘900 sembrava che scienza e tecnica avessero lanciato l’uomo ben oltre i suoi confini tradizionali, dichiarandolo protagonista di un futuro difficile da prevedere ma che avrebbe cambiato per sempre in meglio il suo destino. Progresso. Evoluzione. Darwin aveva dimostrato che l’uomo era la meta più alta di un’evoluzione che, contrariamente a quanto affermato dalla Bibbia, lo aveva visto assente per tanto, tantissimo tempo. In questo percorso evolutivo si erano avute trasformazioni, rotture, ricomposizioni, sviluppi in cui la lotta per la sopravvivenza e per la conquista dello spazio vitale aveva portato intere specie a uscire di scena. Specie forti e terribili come i dinosauri o specie deboli in rapporto all’ambiente in cui si erano trovate a vivere. Il mondo appariva come il luogo di una continua battaglia in cui avrebbero vinto solo coloro che si erano mostrati all’altezza, i più forti che in generale potevano anche non essere i più grossi. Che il pesce grosso mangi il pesce piccolo è ancora oggi ben più di una battuta. In questa generale ed entusiastica visione del progresso l’uomo era il protagonista sia in campo storico sia in campo naturale. Ed è da qui che il pensiero hitleriano procederà per conto suo, ritenendosi il protagonista per l’umanità. Hitler credeva di compiere il destino della natura, inevitabile e deterministico. Così come Stalin operava per compiere il destino della storia. Se la storia va verso il socialismo e il comunismo, dobbiamo favorirlo e se qualche disgraziato, un altro comunista o un contadino con una mucca, si opponeva la storia non poteva aspettare: da uno si passò a due e proseguì senza potersi fermare, fino ad arrivare a circa 14 milioni. Lo stesso per Hitler che però agiva in nome della Natura, dove la lotta per la sopravvivenza fa la differenza; per questo ogni razza (sottogruppo umano come le specie naturali) doveva guardarsi intorno e non farsi sopraffare. La razza evidentemente superiore era quella ariana e si doveva fare il possibile perchè non venisse sopraffatta: i negri erano talmente inferiori, pochi e ininfluenti che non destavano problemi, mentre la razza da cui dovevano guardarsi gli ariani era quella ebraica. Gli ebrei infatti erano numerosi in Europa, anche in Germania, erano presenti ovunque e ovunque erano costituiti da famiglie molto ricche e dunque molto potenti. La soluzione al problema, in una Germania sempre più forte, agguerrita e vincente era la soluzione finale: avrebbero estirpato il problema alle radici, senza dover aspettare che le minacce (come la notte dei cristalli e le varie leggi antisemite) spingessero gli ebrei ad andarsene.

La soluzione finale. Un progetto morale? No di certo. Un progetto razionale? Certamente sì, se per razionale si intende conforme ai principi di ragione così come diffusi da Aristotele in poi, causa-effetto, identità, non contraddizione, terzo escluso. E’ qui che il senso comune non riesce a progredire, perchè confonde politica con morale, perchè non si rende conto che esiste anche una ragione complessa oltre a quella aristotelica. 

Oggi possiamo dire che il progetto di sterminio di Hitler, soprattutto se lo vediamo simbiotico con quello di Stalin, non era il progetto di un folle ma il prodotto di uno dei tanti modi di manifestarsi della ragione. E questo ha delle conseguenze nella formazione del nostro futuro.
Intanto, dopo Hitler e Stalin abbiamo avuto altri esempi,tutti legati all’ideologia comunista: Mao in Cina, Pol Pot in Cambogia. Inoltre il peso sempre minore dell’ideologia nella formazione di persone e gruppi ha trasferito quella diversa razionalità al piano personale: da Arancia Meccanica al Canaro di Roma e ad eventi che occasionalmente compaiono sui giornali.
Occorre dunque cominciare a fare i conti con noi stessi in ogni campo della nostra esistenza: c’è un piccolo Hitler dentro ognuno di noi che deve accontentarsi di essere un piccolo Er Canaro perchè il contesto ormai è del tutto cambiato. Per com-prendere. Per essere più felici.

P.S. Avvertenza: qui si parla di un progetto come quello di Hitler (o Stalin) che ha caratteristiche ben precise, che non vanno confuse con avvenimenti tristi e dolorosi che regolarmente accadono e che sono la ripetizione di quanto la Storia ci ha mostrato in passato. Le guerre, le torture, le violenze di ogni genere (mentre dubbi restano sul genocidio armeno). Quelle caratteristiche ci appaiono strane e ci rendono ingenui, increduli e quindi indifesi, tanto da creare la categoria della “pazzia”. Le altre invece le conosciamo e ci rendono arrabbiati e insoddisfatti. Cose ben diverse.

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