FRAMMENTI DI UN DISCORSO SUI LUOGHI COMUNI          
LETTERA [ V ] -   VERITA’
Leggo libri, giornali, riviste. Partecipo poi a tre forum su FB, di filosofia, fisica e letteratura: la parola verità risulta continuamente presente. Sembra anzi che tutto ruoti intorno alla ricerca della verità: tre-quattro righe in cui si esprimono opinioni, che non sono buttate là, e che probabilmente hanno dietro anche una certa riflessione, ma che per come sono presentate lasciano l’amaro in bocca. O sono categoriche oppure sono confuse.
Sul tema “verità” si oppongono due aree: gli assolutisti totali e i relativisti totali.
I primi sono in minoranza e ricordano tempi che sembravano superati. Qualche cristiano, qualche comunista, qualche studioso cartesiano di scienze della natura.
I secondi sono una maggioranza sterminata e hanno fatto del proprio pensiero la fonte della verità; non pretendono di rendere assoluto il loro pensiero e dichiarano apertamente che ogni affermazione è vera solo relativamente. Relativamente a se stessi, alle persone con cui si dialoga, al contesto in cui si è inseriti.
I due gruppi poi presentano anche sottogruppi di una qualche sfumatura. Soprattutto i cristiani riaffermano il messaggio di Gesù ma poi sentono il bisogno di scendere a compromessi con il quotidiano, tanto che questa mediazione può essere vicina allo zero (e allora si sente puzza di sharia), può essere invece molto estesa (e allora risulta difficile capire il divino) oppure stare un pò nel mezzo (e allora si ricorre al gruppo, anche ampio, di eletti o vicini).
Per molti, sia del primo sia del secondo gruppo, la verità più che un’affermazione è una negazione, per cui non si dice cosa sia vero ma si dice cosa non sia vero; da questa impostazione nascono le fake news che mettono in discussione tutto in funzione del proprio potere: si finisce così col criticare la finanza, il capitalismo, le multinazionali, la medicina, la scienza e molti aspetti che fanno parte del buon senso. Non era possibile ciò, anni fa. E’ invece ciò che accade oggigiorno: la cultura di massa ha fornito un’infarinatura generale e la democrazia ha fatto sì che ogni individuo si senta sempre più coinvolto in prima persona. Da un lato siamo individui, particolari, che però entrano quotidianamente in contatto, diretto o indiretto, con il tutto. Non siamo però tuttologi: il dubbio è sempre stato lo strumento principe della nostra cultura libera che ha così potuto svilupparsi, ma era un dubbio dentro la cultura. Oggi invece ogni frase pretende il diritto di esistenza e il dubbio diventa elemento di confusione perchè non si basa sulla cultura prodotta e acquisita, ma sull’improvvisazione e l’estemporaneità. In fondo basta che qualcuno faccia trapelare il dubbio che i vaccini generino malattie, che lo sbarco sulla Luna non sia avvenuto, che le Centrali Nucleari non siano sicure, che gli OGM facciano male, che aver trovato del piombo nella Terra dei Fuochi renda l’area compromessa…Basta insinuare il dubbio: in fondo non siamo sperimentatori di vaccini, non eravamo nati nel 1969, non sappiamo neanche come funziona una Centrale, mangiamo ma non produciamo cibo e non viviamo a Napoli. Il dubbio della cultura apriva le menti perchè era radicato su solide fondamenta; il dubbio attuale è distruttivo perchè rinuncia ad avere radici. Ancora una volta la cultura contro l’ideologia.
Questa mancanza di riferimenti permette il protagonismo di ogni persona, sia che dica la sua su un forum sia che faccia una recensione su IBS o Amazon sia che discuta al lavoro. E dunque la verità diventa il nodo centrale, non tanto riguardo agli strumenti di verifica, quanto con riferimento a cosa si intenda per verità.
Prendiamo in considerazione alcune frasi: “questo tavolo è di legno”, “questo letto è comodo”, “se un caffè costa un euro tre caffè costano tre euro”,“Dio esiste”. Sono tutte frasi che possiamo considerare vere: la prima lo è per tutti, la seconda solo per chi la pronuncia, la terza è vera in generale ma dipende dal contesto (eventuali sconti), la quarta è vera solo per i credenti.
Come si vede non possiamo dire nè che la verità è qualcosa di oggettivo nè ridurre la verità a una dimensione soggettiva. Da dove nasce il problema? Perchè ci troviamo a dover diffidare e increspare le nostre affermazioni?
Io penso che tutto nasca dall’affermazione della scienza moderna che ha dominato sia la cultura sia la vita di ognuno da quasi 500 anni. Essa ha mostrato il valore di leggi universali e l’esistenza di un mondo oggettivo, a partire dalla separazione cartesiana tra res cogitans e res extensa. Ci siamo abituati a sempre nuove scoperte e invenzioni che ci confermavano nell’idea di una realtà oggettiva e chi si opponeva erano solo dei poeti, da non prendere in considerazione. Se ci mancava qualche tassello della realtà prima o poi lo avremmo scoperto; e questa era la convinzione anche di Einstein, le famose variabili nascoste.
L’oggettività è diventata sinonimo di serietà, onestà, moralità: essa ha permesso, almeno in Occidente, anche di far convivere Fede e Scienza. Al di là degli scontri tra modernismo e classicismo, idealismo e realismo, fisica classica e fisica quantistica, destra e sinistra, Oriente e Occidente, ci siamo convinti che la realtà fosse oggettiva e che potesse esistere una “Teoria del tutto” come la chiamava Hawkins. La verità è divenuta sinonimo di oggettivo, assoluto, incontrovertibile. Non ci si è accorti della complessità del reale e si è evitato di portare la riflessione nei più reconditi anfratti dell’esistenza. E così assolutismo e relativismo sono diventati i protagonisti.
E dunque la verità diventa il nodo centrale, non tanto riguardo agli strumenti di verifica, quanto con riferimento a cosa si intenda per verità. Dovremmo chiederci: la verità appartiene al mondo della morale o a quello della conoscenza? O, forse, anche la morale rientra nell’ambito della conoscenza.
Io credo che la verità riguardi il campo della conoscenza. Per questo motivo non esiste verità al di fuori dei passi e delle stazioni fatti dal conoscere. Non starò qui a ripetere gli stadi relativi alla conoscenza, ma non c’è dubbio che molte cose sono cambiate negli ultimi 100-150 anni. In particolar modo si è andato chiarendo che una conoscenza assoluta non sia possibile e a ciò si è arrivati sia riconoscendo una complessità irriducibile a leggi assolute sia attraverso la dimostrazione teorica (vedi Gödel e il fatto che occorra sempre un piano superiore per giustificare ciò di cui ci stiamo occupando).
In questo senso, se per gli antichi e la cultura del MedioEvo conoscere significava valorizzare la filosofia e la letteratura, a partire dal 1600 conoscere ha significato essenzialmente occuparsi del mondo sensibile e naturale, attraverso le discipline matematiche. Come ho ricordato altre volte questa pretesa si basava all’inizio sull’affermazione cristiana che un Dio perfetto, come quello cristiano, non avrebbe potuto dar vita a un mondo imperfetto. In seguito la conoscenza si è fatta sempre più scettica staccandosi, spesso ma non sempre, dalla religione.
La verità cristiana è una verità morale, ma, e per questo, è incapace di fornire strumenti utili alla conoscenza, di se stessi e del mondo. Per questo motivo il relativismo sta avendo un successo non meritato e per questo gran parte dell’Occidente ha relativizzato anche il Cristianesimo. Conosco molte persone buone e sinceri Cristiani che danno della loro religione interpretazioni svariate (difformi tra di loro e difformi dalla Chiesa). L’uomo occidentale è stato educato al dubbio e ha portato il suo dubbio anche in campo religioso; sbaglia però chi lo vede solo perduto nel desiderio materialista (sex, drugs and rock&roll). E’ che l’uomo occidentale ha assorbito in sè il desiderio di conoscenza, la curiosità, il dubbio, la fede nel sovrannaturale, i punti interrogativi (sempre più numerosi) sul senso dell’esistenza, il ruolo dell’individuo grazie alla democrazia e alla libertà. Il suo contributo lo ha dato la Chiesa stessa, quando ha ritenuto che la vita terrena avesse un valore in sè e non solo in funzione della vera vita, quella oltre la morte.
In Europa sempre meno sono i cristiani praticanti e i ministri della Chiesa: ridurre tutto a Satana è fare gli struzzi. E così il relativismo fa passi da giganti e annovera tra i suoi adepti molti amici di Gesù. L’idea del progetto intelligente è accettata, ma poi il modo di vivere e di pensare quotidianamente è lo stesso di chi ha una visione diversa, nella quale non c’è bisogno di nessun Dio. La battaglia culturale della Chiesa, ma non solo, risulta limitata e fuorviante, quando con Scola e Caffarra identificano nel “dominio incontrastato della tecnoscienza” la fine di “ogni ricerca di senso”. Finchè la scienza si presentava come deterministica e assoluta, coinvolgendo in ciò la sua materializzazione, cioè la tecnica, il discorso poteva anche avere un fondamento. Nel momento però in cui si impone una scienza della complessità, non deterministica, allora la domanda di senso, la sua ricerca e le sue possibilità non si riducono allo scontro diretto tra [religione] e [materialismo].
Non sono tra quelli che ironizzano sulla religione come insieme di fantasie e credo moltissimo in un colore spirituale della nostra persona. Sono d’accordo con Scola quando valorizza la persona (il soggetto) inserito nella comunità che, grazie all’azione, si chiede “perchè? per chi?” e apprezzo l’affermazione che “sotto il sigillo della fede, i cristiani affrontano tutti gli aspetti dell’umana esistenza”.
Ed ecco che torniamo alla verità. Non esiste più una verità assoluta, unica, eterna; e non è colpa di Nietzsche. La scienza non ne produce più e il Cristianesimo ne fa una rivendicazione che è solo di principio.
Questo apre la strada ai culti orientali (induisti, buddisti), alle brutte copie del Cristianesimo (islamismo), ai culti materiali dove il contingente è sacralizzato (i vegani, gli ambientalisti, i surfisti, i drogati, gli hacker…).
Ma non è l’unica strada nè l’unica prospettiva. Ammiro e sostengo i Cristiani e non mi aspetto che cambino.
Non esiste più una verità assoluta, unica, eterna. Non esistono verità contingenti nè contingenze trasformate in verità assolute. Esiste una rete di relazioni (materiali e spirituali) che hanno permesso di cogliere aspetti sempre nuovi: esistono affermazioni che sono verità parziali, temporanee, solo se non si perde la connessione, anzi l’interconnessione tra i vari elementi. E soprattutto se chi le sostiene se ne assume la responsabilità. Potremmo ancora concordare con Montale che “solo questo posso dirvi, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”; ma oggi siamo oltre questa impostazione negativa della verità. Non abbiamo di fronte a noi una verità capace di mettere ogni tessera del mosaico al proprio posto, come non l’avevamo prima. Ma il crollo delle certezze non significa vivere nell’incertezza, dominati dal Caso e dal Caos: esistono orizzonti da scegliere e verso i quali muoversi, e quegli orizzonti non sono a 360° (Prigogine). Il futuro, individuale e collettivo, è tutto da costruire, ma non è predeterminato, dipende dai vincoli dell’oggi: anche il passato aveva un futuro (Ricoeur). La storia ha prodotto verità in continuazione, verità che sono state riviste e rielaborate, scarnificate e approfondite: abbiamo affinato la ricerca e lo sguardo, ampliato i punti di vista e le verità si sono trasformate, rinforzate e lasceranno il posto ad altre verità più complesse e più forti: come succede all’essere umano nello svilupparsi delle generazioni.
Le verità sono delle stazioni di un percorso lungo e faticoso in cui riprendere fiato: sono molte ma non sono infinite e tocca a noi, a ognuno di noi sapersi muovere perchè la rete di connessioni (e di conoscenze) non solo non si spezzi, ma si faccia più forte. La sfida che sta di fronte a noi e ai nostri figli in questo inizio di millennio è complessa: dobbiamo rinunciare alle pretese di una verità assoluta, che come tale risulta solo illusoria; dobbiamo rinunciare alla facile fuga verso convinzioni provvisorie e relative. Il mondo ha manifestato e manifesterà sempre di più la sua complessità: dovremo avere il coraggio di starci dentro con la nostra complessità.

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