FRAMMENTI DI UN DISCORSO SUI LUOGHI COMUNI         


LETTERA [ Q ] – QUOTE (rosa e non solo)













La lettera Q non offre molte parole in generale e soprattutto parole che siano diventate degli stereotipi: molti sono tra l’altro gli avverbi e questi si prestano poco a un approfondimento. Tra le poche possibilità ho scelto qualcosa (quote) che è diventato un tema di assuefazione e quindi si presta ad essere interpretato come il classico luogo comune.
La parola “quote” viene usata principalmente nel campo delle scommesse, nel campo dell’alpinismo e poco altro. Negli ultimi anni è diventata invece una parola cardine del politicamente corretto. La correttezza politica è una bella espressione che però nasconde insidie di cui tener conto. Se tu osi discutere le cosiddette “quote rosa” sei subito etichettato per maschilista (o peggio per fascista). Se invece vuoi discutere delle quote relative al colore della pelle allora va da sè che sei un razzista. E così via.
Tutti siamo per l’uguaglianza, égalité, ma abbiamo visto cosa è successo alle popolazioni di quei Paesi che hanno messo questa parola come bandiera: povertà e dittatura. Tutti vorremmo che tutti avessero le stesse condizioni di vita e le stesse possibilità, ma sappiamo bene che la non uguaglianza è la caratteristica fondamentale degli esseri, viventi e non, sulla Terra. Gli uomini non sfuggono a questa situazione e spesso basta un piccolo elemento, un modesto gene, una scossa, dell’asfalto bagnato, la frazione di un decimo, perchè la disuguaglianza divenga irreversibile.
Le quote, rosa o di altro colore, sono solo il frutto di una lotta tra diverse volontà di potenza. Questa lotta è frutto della storia dell’essere umano e si iscrive nella dimensione evoluzionistica: in passato ha portato alla nascita della democrazia greca, allo sviluppo della liberaldemocrazia, così come alle guerre di vario genere.
Mi si dirà che io sono un maschio bianco e che dunque sono un privilegiato e faccio parte dei vincitori che non vogliono cedere il potere. Contesto tale affermazione, non solo perchè chi mi conosce sa bene che se è vera la prima parte (sì, sono bianco e maschio) non è vera la seconda. La contesto soprattutto perchè non apre alla discussione.
Immagino però che pochi siano quelli che si ridurrebbero così.
Il passo successivo dunque riguarda la prospettiva che una cultura delle quote apre. Essa infatti per come è presentata, ovvero il tentativo di riparazione di errori e discriminazioni, è sbagliata storicamente e culturalmente; in più nasconde col moralismo tipico del politicamente corretto (è giusto!) quella che invece è -come sempre- una lotta di potere.
Partirò da un esempio. Quando ero in Brasile fu approvata una norma che riservava quote di iscrizione alle Università Federali agli studenti di colore. Ora, chi conosce il Brasile sa che la popolazione non si riduce a bianchi e neri, ma che tra questi estremi vi sono infinite sfumature, accresciute dalla presenza indigena, anche questa variamente suddivisa. (I miei ex-studenti che mi leggono sono pregati di correggermi, se necessario).
L’esempio ora riportato è paradigmatico, perchè da nessuna parte e in nessun campo è possibile riunire gli individui in gruppi omogenei. E’ proprio quel rispetto della diversità, di cui il politicamente corretto si fa bello, che viene di colpo, de façon tranchante, umiliato fino ad essere annullato. In termini culturali si chiama “comunitarismo” ed è un’attitudine superata dalla modernità che l’ha sostituito con il riconoscimento dell’individuo come ente principale. L’elemento base è l’individuo, che esso sia maschio o femmina, bello o brutto, cattolico ateo o islamico, nordista sudista o insulare e così via. E’ per questo che i musulmani creano sempre problemi nei paesi occidentali: hanno i loro luoghi di culto, le loro macellerie, i loro libri e nessuno li contesta se non bevono vino o se pregano. Il punto è che, ad eccezione dei pochi musulmani liberal che riconoscono la separazione tra politica e religione e dunque affermano il ruolo dell’individuo, i musulmani si sentono prima di tutto subordinati alla loro fede, alla Comunità di fedeli (Umma), non a caso Islam vuol dire sottomissione. In realtà spesso cadiamo nel loro tranello, perchè accettiamo di considerare musulmano sia il senegalese dell’Africa Occidentale, l’egiziano, il siriano e il pakistano. E ne facciamo l’elemento decisivo. Ancora a proposito delle quote è di questi giorni la notizia che il governo britannico avrebbe in mente di aiutare gli islamisti estremisti che rinunciassero alla jihad attraverso una specie di quote, come precedenze sull’assegnazione di case popolari.
Torniamo al tema centrale.
Il sistema delle quote è sbagliato in partenza e per ragioni culturali che hanno a che fare con la storia della civiltà a cui apparteniamo.
Fino all’affermazione della liberaldemocrazia l’elemento centrale di una società era “comunitario”: spartiati e iloti, cittadini e meteci, patrizi e plebei, padroni e schiavi, nobili e servi della gleba, cristiani e infedeli, musulmani e infedeli, cattolici e protestanti, francesi e tedeschi, colonialisti e colonizzati, uomini e donne. La storia non corre come qualcuno vorrebbe e la continuità vince sempre sulla rottura, ma -evoluzionisticamente- la continuità cambia veste fino a essere qualcosa di nuovo.
La liberaldemocrazia riconosce la separazione tra Chiesa e Stato e la centralità dell’individuo, ma perchè questo si esplicasse e raggiungesse una realtà non parziale, bensì complessa e completa, sono stati necessari secoli. Le donne hanno potuto votare solo nel XX secolo; la schiavitù, rimasta solo nel Sud degli USA, è scomparsa definitivamente nel XIX°; la scuola di massa si è affermata nel 1900. Eppure le prime decisioni rinviano al XIII° secolo e lo stesso Dante parlava di separare Impero e Papato; la prima rivoluzione moderna, quella inglese, risale al XVII secolo; guerre di religione sono finite nel 1648; le nazioni moderne si hanno nel 1800. Un percorso lento, pieno di incertezze, inciampi, cadute, sofferenze, morti, come è nell’abitudine della storia, eppure la democrazia, parziale ad Atene, ha trovato la sua realizzazione nel secolo scorso.
Io posso essere omofobo, cattolicofobo, islamofobo, colorofobo, veganofobo, ma non posso negare di affittare un appartamento per quei motivi; certo posso nascondere la mia fobia e trovare altre motivazioni legittime, ma non posso discriminare gay, cattolici, musulmani, neri, vegani per queste loro caratteristiche e preferenze. Ammesso, ma non concesso, che le donne abbiano subito discriminazioni in passato che le hanno danneggiate o che gli abitanti della nostra penisola abbiano subito danni dal dominio spagnolo, NON è premiando le donne attuali e gli italiani attuali che si preparano condizioni migliori e più adeguate nel futuro. La storia non può essere criminalizzata nè moralisticamente condannata. L’unico modo per garantire che le difficoltà del passato, riconosciute oggi, non si ripetano nè verso le stesse persone nè verso altre è di garantire i diritti individuali. Cosa che una liberaldemocrazia ha dimostrato di saper fare.
Le donne in Italia hanno potuto votare per le politiche solo nel 1946, ma chi ha subito un danno non sono le donne in generale bensì le donne morte prima del 2 giugno 1946. Le donne di oggi per questo godono del diritto di voto. Criminalizzare e condannare la storia comporterebbe, come ho scritto più volte, rivendicazioni e conflitti interminabili. Tornando alle quote, ad esempio le quote rosa, è vero che la mancanza del diritto di voto fino al 1946 ha indebolito le donne nel loro complesso, ma la società occidentale non ha loro impedito di diventare scrittrici, scienziate, attrici, professoresse. Pretendere di azzerare la storia con un colpo di spugna, sic et simpliciter, è come minimo molto ingenuo. Negli USA i neri stanno comprendendo questo: l’invito di molti intellettuali di colore è quello di smettere di lamentarsi per il passato e cogliere le opportunità che la liberaldemocrazia offre loro. Non quote ma meriti. Se non sbaglio un tale di colore nero è stato eletto Presidente degli Stati Uniti, cioè l’uomo più potente del mondo.
C’è ancora qualcuno (non so se stupidotto o furbetto) che crede che “i figli degli operai saranno sempre svantaggiati” e che “esistano ostacoli di ordine economico e sociale da rimuovere”. Ora è evidente che difficoltà esistono ed esisteranno sempre e che non esiste sistema migliore di quello liberaldemocratico. Se quella rimozione però vuole avere un carattere assoluto allora può voler dire solo due cose: o una società socialista (dittatura e povertà) in cui i favoriti sarebbero i burocrati che comandano oppure il riconoscimento che la nostra società è multipla e che in essa esistono premi per coloro che se lo meritano.
Dunque la reale alternativa è: Quote o Merito? Le quote cancellano il merito e innescano conflitti di cui non c’è bisogno. E’ questo il destino di ogni forma di “comunitarismo”, perchè crea conflitti non solo ad opera della comunità colpita, ma anche all’interno della stessa comunità favorita.
Infine, poichè qualcuno ha storto la bocca alla precedente mia affermazione “Ammesso, ma non concesso, che le donne abbiano subito discriminazioni in passato che le hanno danneggiate” vorrei far notare che l’aspettativa di vita in tutto il mondo di una donna è superiore rispetto a quella di un maschio (In Italia nel 2015 c’era uno scarto di 5 anni). Poichè l’aspettativa di vita indica il benessere delle persone (come dimostrano le basse cifre di alcuni paesi africani) è chiaro che 5 anni di vita in più difficilmente si coniugano con il preteso danno storico femminile.
Se proprio vogliamo riconoscere alle quote un senso positivo allora occorrerebbe anche attribuire 5 anni di vita in più ai maschi. Non entro nei dettagli, ma è una questione di giustizia.

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