FRAMMENTI DI UN DISCORSO DEI LUOGHI COMUNI                
LETTERA [ L ] – LOTTA


La nostra è un’epoca di lottatori, laddove il significato metaforico ha sostituito del tutto  quello letterale.
Il termine infatti deriva dal latino e si riferisce a una pratica ginnica molto in uso nell’antichità greco-romana e che oggi trova il suo onorato spazio anche alle Olimpiadi, dove si praticano lotta libera e lotta greco-romana. La parola sembra derivi da un termine indoeuropeo che indica il piegare, così come i due atleti fanno per vincere la gara. Per molto tempo la parola lotta-lottare è rimasta nell’ambito per cui era stata coniata, tanto che Sant’Agostino usa un’altra parola per indicare il lavoro che compie dentro se stesso: pugna-pugnare, cioè battaglia-combattere.
Talvolta nei secoli successivi “lotta” viene usata in senso metaforico, ma in genere per eventi esterni all’individuo, come la lotta politica: è solo a partire dal 1700 che il suo uso si intensifica trovando il punto di svolta a metà dell’Ottocento con Marx che conia l’espressione “lotta di classe”. In tedesco: klassenkampf.
La teoria marxista prevedeva l’inevitabile avvento di una società socialista e poi comunista e l’elemento che avrebbe permesso questo sviluppo, alla luce di una visione evoluzionistica, era la lotta di classe. Lotta di classe come motore della storia.
Come sappiamo, da allora l’ideologia comunista ha segnato gran parte della storia dei popoli fino ad oggi. In particolar modo l’Italia è stato il Paese che ne ha subito fascino e conseguenze, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica: gli strascichi giungono fino ai giorni nostri.
La lotta di classe col passare degli anni mostrava i suoi limiti, soprattutto concettuali, soprattutto come motore della storia, ma la frase aveva lasciato un segno molto più profondo, tale da uscire dal terreno propriamente della lotta sociale e spargersi in altre direzioni. La parola classe piano piano è uscita di scena, ma la parola lotta invece ha assunto un ruolo e un potere sempre più forti.
Le cose importanti a livello sia globale sia personale si possono ottenere solo con la lotta. La lotta non è più il motore della storia sociale ed economica, ma l’elemento che muove tutto.
1)A livello globale.
Cominciamo con la lotta alla povertà, alla fame, alla droga, alle ineguaglianze, allo spreco, al riscaldamento globale.
Marx diceva con chiarezza che la lotta era fra due classi, il proletariato contro la borghesia e la borghesia contro il proletariato. Mi chiedo: “povertà, fame, droga, ineguaglianze, spreco, riscaldamento globale” da chi, in carne ed ossa, sono rappresentati? Qualcuno dirà: le multinazionali, Trump, e ancora le Multinazionali. Ma, seriamente, è un discorso che regge rispetto alla realtà? Tutte le multinazionali generano fame povertà ecc.? Quei problemi li ha creati Trump in pochi mesi o c’erano anche con Obama e Clinton?
Allora perchè questa superficialità?
  
2)Passiamo al personale.
Lottare contro la malattia, lottare per gli studenti (docente all’esame di stato), ricomincia la lotta (docente all’inizio del nuovo anno scolastico), lottare per i propri sogni.
Anche qui occorre chiedersi: virus e batteri, gli altri docenti (all’esame), gli studenti e la burocrazia (durante l’anno), la società o il mondo sono i nostri nemici?
Siamo seri.
L’uso di frasi superficiali, di analisi generiche, di parole che possono suggerire tutto e il contrario di tutto sono alla base dell’ideologia e sono nemiche della cultura: più sono in uso e maggiori sono le conseguenze negative, soprattutto per una vita autentica.
Ricordo che nei primi anni di insegnamento agli studenti che scrivevano che questo e quel problema erano colpa dell’uomo facevo notare che dovevano specificare e che nè io nè lui eravamo responsabili. Questo modo di fare, ideologia-negazione di cultura, continua e non accenna a diminuire: in un recente articolo sul Corriere della Sera la giornalista scriveva (in merito all’omicidio di Noemi): “ cosa abbiamo fatto noi?”.

Assurdità.

Il punto è che, con la scuola di massa e i mass-media, questo modo di parlare e di fare ormai ha contagiato tutti.

Ed ecco dunque la lotta,  trionfare.

Lo stesso Marx ebbe problemi perchè era difficile definire chi apparteneva al proletariato e chi alla borghesia. Più problemi li ebbero i suoi seguaci: in Russia nel 1917 la classe operaia era ben poca cosa e in Italia ancora nel 1945 i contadini erano la maggioranza (e con diverse stratificazioni).

A maggior ragione oggi: da un lato i problemi sono sempre più complessi, intrecciati, articolati, spesso inestricabili, dall’altro tutti pretendono di dire qualsiasi cosa passi loro per la testa.

Qual è il vantaggio di usare la parola LOTTA in tutte (o quasi) le attività umane?
Il vantaggio sta nell’enfasi che la parola ha, nell’aureola di grandezza che la circonda, nel valore che sottintende. Così qualsiasi cosa le persone facciano devono dire, soprattutto a se stessi, che lo fanno attraverso la lotta, lottando: non fanno niente di importante, ma almeno si credono eroi, novelli Ettore che, come diceva Foscolo, pur essendo stato sconfitto sarà ricordato per l’eternità.


Allora?

Non è molto difficile.

1)In campo globale.

La complessità dei fenomeni e delle relazioni fa sì che dobbiamo stare attenti a uscire con risposte univoche e definitive.
Fame, povertà sono problemi con cui l’umanità ha a che fare da millenni. Occorre partire dal contesto storico e geografico, cercando di articolare la propria visione personale con quella generale, sapendo che si tratta di problemi economici che richiedono scelte politiche.
Il tema della droga è talmente dibattuto che lascia divisa la comunità scientifica: non serve fare sparate, ma sapere che nel mondo si confrontano numerose esperienze e teorie.
Lo stesso vale per il riscaldamento globale, dove ciò che conta non sono le frasi ad effetto di giornali, televisioni e non è detto che chi grida più forte sia più vicino alla verità. La comunità scientifica è profondamente divisa sui cicli termici della terra, ma soprattutto sulle cause.

In campo globale, visto che la maggioranza di noi non ha il potere di aprire rubinetti, un atteggiamento più complesso su questi problemi permetterebbe lo stabilirsi e svilupparsi di relazioni meno conflittuali e più aperte alla soluzione reale.
Considerare, spesso in modo apocalittico, chi la pensa diversamente da noi come un nemico è all’origine di ogni totalitarismo e portatore solo di violenza.

2)In campo personale.

Le malattie si combattono con le medicine e con la serietà dei medici: noi dobbiamo avere certo un atteggiamento positivo e di fiducia. Questo nella salute come nel resto della nostra vita.
A scuola non c’è nessuna lotta, ma il rispetto delle norme e delle funzioni che ci caratterizzano: purtroppo in Italia tutto questo è fantasia.
I sogni vanno perseguiti, ma senza considerarli un valore assoluto. La vita non è un percorso lineare segnato da tappe determinate che ti garanticono la loro realizzazione. Cosa vuol dire lottare per i propri sogni se non insistere e persistere, laddove 99.999 persone su 100 mila si troveranno deluse?

Allora ciò di cui abbiamo bisogno è proprio il contrario: avere un  orizzonte e non un punto d’arrivo, essere disponibili al cambiamento, accogliere e vivere con affetto gli eventi che ci capitano, abituarsi a convivere con l’incertezza.
E’ questo che voglio dire, quando scrivo che dobbiamo farci amico il Caso.

Come è finita la lotta di classe, occorre che finisca anche la semplice lotta.
La lotta, ridotta ormai a chiacchiere, cioè ideologia, qualcosa che nasconde e divora, seduce e distrugge.

Ci sono termini che potrebbero essere usati per diminuire il peso di questo stereotipo.
Sforzo, impegno, lavoro e tutti i loro sinonimi.
Non è cosa di poco conto, perchè queste parole ci impegnano in prima persona obbligandoci ad assumere le nostre responsabilità, nel dibattito pubblico, nel confronto tra amici, nello scavo dentro noi stessi.

Ciò che deve finire è la parola lotta come punto di riferimento, non certo i contrasti e i conflitti che sono alla base della vita. La lotta, di cui la parola lotta riassume il senso, nasconde la molteplicità delle relazioni, riducendo a un misero schema quelle che sono le differenze tra i diversi soggetti.
La lotta prevede Ettore e Achille, Enea e Turno, Tancredi e Clorinda, Firenze e Arezzo, i Cerchi e i Donati, la Spagna e l’Inghilterra, la Francia e la Germania, il Comunismo e il Fascismo, l’URSS e gli USA: essa esprime perfettamente le ragioni di un mondo semplice, facilmente riconducibile a Destra e Sinistra, Ricchi e Poveri, Belli e Brutti, Paradiso e Inferno. Il Bene e il Male.
La lotta, di cui la parola lotta riassume il senso, nasconde dietro un velo (Schopenauer lo avrebbe chiamato Velo di Maia) quello che è divenuto oggi il mondo: ma il mondo di oggi, nella manifestazione delle persone delle relazioni degli eventi, è talmente complesso da aver squarciato quel velo: non occorre più essere filosofi o artisti per vedere dietro. Purtroppo la storia millennaria dell’umanità ha codificato geneticamente il vedere e il conoscere: si cerca di stare al passo, ma non si ha il coraggio di infrangere quei codici. Quando ero liceale esisteva una sola causa delle Guerre Mondiali, quando ero professore i libri parlavano di cause: ma non è una questione di numeri; per questo introdussi il concetto di flussi.
Non possiamo non vedere. Le differenze non solo rimangono ma si moltiplicano, proprio per la complessità del mondo nel quale viviamo. Sono differenze dentro di noi, differenze nelle relazioni d’amicizia e d’amore, differenze nei luoghi di lavoro, differenze tra lingue e culture. Cercare di superare queste differenze con la lotta, di cui la parola lotta è l’essenza, riduce la nostra capacità di dare un senso alla nostra esistenza, facendoci ricadere nei drammi di un tempo.

Abituiamoci a sostituire quella parola con altre che rinviano a noi, alla nostra persona, alla nostra responsabilità.
Sforzo. Impegno. Lavoro. Serietà. Dedizione. Volontà. Cura. Sollecitudine. Onere. Adoperarsi. Intraprendere…






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