FRAMMENTI DI UN DISCORSO DEI LUOGHI
COMUNI
LETTERA [ F ] -
FASCISMO
“Fascistaccio
di merda”: così un italiano che vive a Londra si è espresso nei miei
confronti in un sito inglese di domande e risposte dei lettori, aperto a tutti
e su tutte le questioni. Il sito è Quora e non è importante che sia stato permesso
nonostante una mia protesta. L’argomento riguardava la vittoria italiana in
Grecia durante la Seconda Guerra Mondiale. Io avevo detto che sì i tedeschi
ebbero un ruolo preponderante, ma che gli Italiani qualcosa fecero e invitavo a
consultare anche Wikipedia. Avevo fatto notare che è abitudine italica sparare
sempre sulla Nazione e soprattutto su qualsiasi cosa fosse avvenuta sotto il
fascismo. Solo per questo mi sono meritato quel bell’appellativo.
L’incipit è proprio per mostrare come a
distanza di 72 anni si fa fatica a fare i conti con il nostro passato: solo
Bene e Male. Frutto purtroppo di una pseudocultura che per decenni ha avuto via
libera nei mass media e purtroppo continua nell’insegnamento delle scuole
italiane. L’Italia è l’unico Paese che disprezza la propria storia e ha sempre
bisogno di autoflagellazioni pensando per questo di risultare più gradita al
mondo: purtroppo non è così e anzi l’Italia è certo un Bel Paese (come scrisse
Stoppani dopo Goethe), ma a livello internazionale conta meno del due di
briscola. Non c’entra nè la destra nè la sinistra, nè la Monarchia nè la
Repubblica, anche se lo sfacelo si è avuto negli ultimi 70 anni.
Anche all’estero ci sono posizioni
critiche sul proprio Paese, ma a livello ufficiale ci si presenta compatti
recuperando del passato gli aspetti positivi.
Mi ricordo che quando Bush invase l’Irak
fu chiesto a Woody Allen ( non certo un estremista) cosa ne pensasse e i
giornalisti italiani si aspettavano una denuncia secca del Presidente
Repubblicano e invece Woody Allen disse che, se il Presidente aveva deciso così,
aveva elementi adeguati per farlo. Anche quando Bush II decise di invadere
l’Afghanistan dopo l’11 settembre Clinton gli strinse la mano e l’appoggiò: gli
USA si presentarono uniti.
In Italia invece gli intellettuali sono
sempre pronti a pontificare senza sporcarsi le mani: così abbiamo un monumento
a Bresci che ha ucciso Umberto I il Capo di Stato dell’Italia di allora
(onorato dalle Associazioni Partigiane, ANPI e FIAP), e a Prato una via a lui
dedicata, mentre il Comune di Genova ha rifiutato di intitolare una via a Quattrocchi,
sgozzato da Al Quaeda gridando “vi faccio vedere come muore un italiano”;
perchè era un contractor, tradotto con disprezzo in “mercenario”. Si
criminalizzano le Forze dell’ordine perchè non si comportano come crocerossine; si vuol fare la Rivoluzione che,
come disse Mao-tse Tung, non è un pranzo di gala e poi ci si lamenta se
qualcuno si difende, anche sparando.
E così arriviamo al fascismo.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale
l’uso dell’aggettivo “fascista” è sempre stato un modo per tagliar corto e
mettere all’angolo l’interlocutore. Purtroppo esiste un rapporto ricorsivo per
cui la cultura ufficiale ha criminalizzato il fascismo influendo sulla cultura
individuale e questa ha confermato quella. Per decenni gli studi seri sono
stati pochi e quando la tesi sostenuta non coincideva con lo slogan ufficiale,
allora l’autore era tacciato di “fascista”, con poche prospettive. La scuola ha
fatto il resto, soprattutto dopo il 1968, sia con i libri di testo sia con la
generazione degli insegnanti: solo da non molto qualche libro di testo di
Storia definisce il fascismo come totalitarismo imperfetto. Qui stiamo parlando
del fascismo che si ebbe fino alla deposizione di Mussolini da parte del Re
(esempio di imperfezione del totalitarismo), perchè la Repubblica Sociale Italiana ha il più sicuro termine di
nazi-fascismo. Confonderle è stata un’operazione antistorica, ma utile a
evitare una attenta riflessione sul fascismo e l’Italia. Se qualcuno osava dire
che il fascismo era stato un regime appoggiato dalla stragrande maggioranza
della popolazione, subito veniva bollato come fascista. Un anno chiesi ai miei
studenti di 17 anni quante condanne a morte furono eseguite sotto il fascismo;
mi fu risposto “centinaia di migliaia” e rimasero stupiti quando, riportando le
cifre ufficiali, li informai che erano solo 31 secondo una fonte (Antifascismo)
e 120 secondo un’altra(Tessitore su WKPD)., soprattutto irredentisti istriani.
Questo succedeva nel 2009 in un Liceo Internazionale a figli di Ingegneri,
Fisici e Diplomatici.
Nei decenni successivi alla Seconda
Guerra Mondiale esaltare l’Italia era sinonimo di Fascismo e per molti è ancora
così. E’ curioso che la grande propaganda in tal senso vide come protagonisti i
partiti che guardavano all’URSS come la patria della libertà: 14 milioni di
morti, migliaia di gulag e tanto altro.
Il fascismo fu un movimento non
democratico e che instaurò un regime totalitario, che però fu capace di
iniziative economiche, sociali e culturali di rilievo. A differenza però degli
altri regimi totalitari la cultura fu sviluppata: il fascismo vietava le
critiche al fascismo, ma tutto il resto era permesso; comunismo e nazismo
permettevano solo ciò che esaltava i loro regimi. E così potemmo avere
Ungaretti, Montale, Pirandello, numerosi narratori, pittori, scultori e
architetti di fama mondiale, la Treccani, fisici, ingegneri, filosofi.
L’industria italiana era all’avanguardia e la Treccani è ancor oggi di gran
lunga superiore alla Enciclopedia Britannica.
Il nazionalismo fascista ha favorito lo
spirito nazionale, mentre, finita la guerra, la criminalizzazione del
nazionalismo, identificato col fascismo visto ideologicamente, ha depresso lo
spirito nazionale: l’ascesa e la caduta dell’Olivetti sono l’emblema di tutto
questo.
Non solo, ma in un’epoca in cui i regimi
di democrazia moderna erano pochi, il fascismo fu un sistema giudicato
interessante, anche in paesi di grande tradizione democratica, l’Inghilterra ad
esempio, come ricorda George Orwell nei suoi diari. Da noi si è preferito
cancellare quel periodo.
Memoria corta, ipocrisia, schizofrenia.
Si dimenticano tante cose e con questo
non si vuole giustificare nessuno: non ho mai proposto ai miei studenti la
storia come causa-effetto, ma come flussi. Causa-effetto porta solo a uno
scontro insuperabile: io ho fatto questo, ma tu prima avevi fatto quello, sì è
vero ma ancora prima e così via. Ogni movimento si cristallizza in ideologia,
tira fuori dal mucchio la foto che più gli fa comodo, la ingrandisce e la agita
per annichilire l’altra parte. I flussi invece aiutano a capire le ragioni per
cui si è arrivati a uno scontro, a un conflitto; ragioni che aiutano ad andare
oltre, a porre le condizioni per superare quelle ragioni. Per fare questo però
occorre un salto che non si perda nei dettagli, ma cerchi di ricostruire i
percorsi che ci hanno visti come protagonisti e permetta di assumerci la
responsabilità di un impegno costruttivo. E solo la cornice dello Stato
Liberal-democratico è in grado di accogliere queste istanze.
L’esempio storico che dovrebbe far
riflettere è quello del rapporto tra Francia e Germania: un flusso che ha
origine nel Medio Evo e che, finchè si è basato su causa-effetto, ha portato
solo guerre e disastri, ultimo dei quali la Seconda Guerra Mondiale; quando
invece ci si è fatti illuminare dalla luce del futuro si è arrivati alla
cancellazione delle frontiere. Di fatto non c’è più una frontiera
franco-tedesca: chi lo avesse predetto meno di un secolo fa sarebbe stato preso
per pazzo.
Flussi non causa-effetto. Il film nel suo
insieme, non questa o quella scena, questo o quel fotogramma.
In Italia purtroppo si continua a sognare
il “Sol dell’avvenire”, il “Paradiso in terra” esaltando i vari Che, Castro,
Cuba, Venezuela, Hamas: il dramma consiste che in prima fila a questo giubilo
non si trovano solo improvvidi adolescenti, ma anche intellettuali col
pedigree.
[Interrogare i flussi, seguire la luce,
evitare i fotogrammi: questa non è solo una lezione di storia, ma qualcosa che
dovrebbe illuminare la vita e le relazioni personali. Purtroppo anche qui, in
modo vile, arrogante e in fondo autodistruttivo, si preferisce insistere sul
singolo episodio, dimenticando che siamo tutti peccatori, producendo e
riproducendo solo dolore.]
La criminalizzazione del fascismo tout
court è servita (1) a nascondere l’ideologia e la pratica totalitaria di chi
guardava a Mosca e (2) ha impedito di fare i conti con la nostra storia.
Nel primo caso abbiamo dovuto aspettare
gli anni ’90 del secolo scorso per conoscere e riconoscere come “i cattivi”
erano anche dall’altra parte e solo nel 2004 (‼!) è stato istituito il Giorno
del Ricordo in memoria delle vittime delle foibe, giorno contestato e ogni anno
oggetto di azioni vandaliche
Nel secondo caso, mancando una
riflessione seria, la discussione si è protratta sul piano ideologico e
moralistico, il Bene contro il Male, e oggi continua su questo piano. Se
chiediamo a uno studente delle Superiori se sotto il fascismo la cultura si
sviluppò, la maggioranza risponderebbe di no.
Siamo l’unico Paese che ha un buco di 20
anni nella propria storia, e per molti quel buco risale all’Unità che, non
essendo il frutto di una Rivoluzione (Gramsci), ha dato vita a un essere
malato.
La Spagna ha vissuto una Guerra Civile e
40 anni di franchismo, poi la democrazia ha in qualche modo unito gli spagnoli:
non è stato facile ma ci si è riusciti; eppure se si fosse voluto ce ne
sarebbero state azioni e gesta su cui recriminare, da una parte e dall’altra.
Anche nel caso della Repubblica Sociale
Italiana si è preferito ridurla a nazifascismo invece di entrare nel merito,
non per perdonare, ma per poter sanare le ferite attraverso l’elaborazione e la
metabolizzazione. Qui non è il mio pensiero, diretto e nuovo, ma qualcosa che
avrebbe dovuto rappresentare un eccellente punto di partenza, perchè
proveniente da una figura al di sopra di ogni sospetto. Cesare Pavese, uomo di
sinistra, ma non vile nè arrogante, scrive, a proposito di quegli anni, nel
romanzo “La casa in collina” le seguenti parole: “Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini. Sono questi che
mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile,
se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il
nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una
voce a questo sangue, giustificare chi l’ha sparso…Per questo ogni guerra è una
guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione…Ora
che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno
finisse, dovrebbero chiedersi:-E dei caduti che facciamo? Perchè sono morti?-
Io non saprei cosa rispondere. Non adesso almeno.”
Il libro è del 1948 e ancora, ogni 25
aprile, si assiste a un rituale che ripropone il logoro slogan che si ripete da
70 anni: il Bene contro il Male. Nessuna riflessione. Passano generazioni e dei
partigiani ne sono rimasti pochi, ma i giovani educati all’ignoranza innalzano
bandiere rosse ed escludono la brigata ebraica dalla manifestazione, perchè
loro sono con i palestinesi.
E’ così che risuona alto il messaggio che
fu di Stalin negli anni ’30 del Novecento: chi non è con me è contro di me. La
riflessione, utile e fondamentale, lascia il posto alle minacce, proprio nei
luoghi che dovrebbero essere quelli devoti alla cultura: le scuole e le
Università. Ed ecco che il “fascistaccio
di merda” diventa la naturale risposta del perfetto democratico,
dimenticando che anche i regimi dittatoriali dell’Est si chiamavano “democrazie
popolari”.
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