FRAMMENTI DI UN DISCORSO DEI LUOGHI COMUNI   
            
LETTERA [ D ] -   DIRITTI








                                
Negli ultimi decenni la parola DIRITTI  è diventata una delle parole maggiormente usate e diffuse dall’intero popolo delle nazioni sviluppate e democratiche. Il benessere che ha seguito la Seconda Guerra Mondiale, che si chiami Les Trente Glorieuses o il Miracolo Economico, ha fatto perdere di vista le contraddizioni della vita. Non c’è dubbio che la diffusione del pacifismo come valore assoluto, coerente con la situazione di un benessere mai visto, ha disarmato prima di tutto gli animi delle persone, impreparati a sostenere e comprendere situazioni di guerra che la storia non può di punto in bianco eliminare dalla faccia della Terra. Questo disarmo interiore ha portato le società europee a sottovalutare il pericolo del terrorismo islamico arrivando a garantire libertà di movimento a militanti islamici che combattevano per abbattere la nostra società, il nostro modo di vivere e il nostro stato democratico. Tutto questo non è cosa degli ultimi anni, ma risale agli anni Settanta quando i Palestinesi hanno creato ad esempio le stragi di Monaco (1972) e di Fiumicino (1973 e 1985). Solo negli ultimi mesi si è compreso il pericolo che stiamo vivendo e solo ora si cerca di correre ai ripari, perchè le persone si rendono conto che sono sì disponibili ad accogliere stranieri pacifici ma non se questi nascondono tra di loro fanatici pronti a fare stragi.


Eppure la cultura del benessere che ha prodotto la cultura del pacifismo si è tradotta in una gestione della giustizia e della politica che ha messo in alto, al primo posto, la parola DIRITTI.
Su questo tema occorre essere chiari:

1- In una società non democratica la parola DIRITTI merita di essere richiamata in continuazione, proclamata e inseguita;
2- In una società liberaldemocratica (Europa, America, Giappone, India ecc.) i DIRITTI devono andare di pari passo con la parola siamese: DOVERI;
3- Non esistono da noi Diritti senza Doveri, gli uni garantiscono l’esistenza degli altri. Separarli significa entrare in un mondo privo di garanzie, di riferimenti culturali e storici, nel mondo dell’Utopia, quel mondo che sempre ha creato solo disastri.

Oggi da noi non esiste il pericolo dell’affermazione dei Doveri sui Diritti, proprio perchè lo Stato Democratico, con la separazione dei poteri prima di tutto, ma anche con la libera stampa, ha al suo interno i filtri che impediscono il sopravvento di forme dittatoriali: potranno esserci errori, deviazioni, rischi, tempi lunghi, ma la democrazia ha tutte le carte istituzionali per sopravvivere.

Purtroppo il maggior rischio per la nostra società nasce dall’assolutizzazione dei Diritti al di fuori di ogni contesto e proposti a priori come una legge divina o una nuova tavola dei comandamenti.

Esiste la politica come il luogo privilegiato per affermare i cambiamenti inevitabili che avvengono nel tempo e dar loro una veste istituzionale, questo sia in relazione a gruppi prima non esistenti sia per spostamenti di interessi e presenze. E’ in questo senso che l’allargamento dei diritti diventa una questione non di principio ma di riferimento dell’agire politico, come è successo ad esempio per il diritto all’aborto e il diritto al divorzio. Aborto e divorzio non sono diritti a priori, ma sono diventati diritti riconosciuti, a certe condizioni decise dal legislatore, dopo una battaglia politica e culturale che ha permesso a tutti di esprimersi e proporre. Sono possibilità a cui hanno diritto le persone interessate, nei tempi e nelle caratteristiche previste dalla legge prodotta dal Parlamento.

Oggi purtroppo si parla di DIRITTI senza chiedersì nè cosa significhi questa parola nè cosa comporti nè il contesto in cui nasce. Esistono molti testi, dichiarazioni, proclami di Enti e Istituzioni mondiali, anche di rispetto e talvolta di prestigio, che espongono diritti vari: si tratta di Chartae che poi vengono sottoscritte da altre Istituzioni, da personalità e da Stati.**(v. in fondo).
Si tratta di qualcosa di fuorviante perchè non sono in genere diritti nel vero e proprio senso giuridico, diritti da applicare e far rispettare, diritti che sono il frutto di un patto sociale condiviso dalle istituzioni rappresentative della comunità.                 In realtà si tratta di dichiarazioni di principio, spesso venate di ideologia, che hanno la funzione, benedetta e benvenuta, di fornire un riferimento ideale, individuando orizzonti di crescita civile. Raramente vengono trasformati in leggi di uno Stato, quelle leggi che ogni cittadino ha il dovere di rispettare.

Che senso ha dichiarare “il diritto alla vita” se non invitare gli Stati a far sì che le condizioni di vita dei propri cittadini migliorino? Nessuno, e tanto meno uno Stato, può garantire la libertà di essere vivi: di fronte a una malattia il medico ha il dovere di agire nel modo migliore possibile (ma già basta il giuramento di Ippocrate) e il paziente ha il diritto a essere rispettato e curato nel miglior modo possibile. Il diritto alla vita si vaporizza di fronte a un cancro terminale del pancreas o a un camion che irrompe sulla folla.
Che senso ha dichiarare “il diritto alla felicità” laddove praticamente ogni individuo del pianeta ha una sua visione specifica, piena di tanti pezzettini ognuno diverso dagli altri?
Che senso ha dichiarare “il diritto al lavoro”? O è un’aspirazione ideale per la quale si vuol riconoscere che è importante per ogni cittadino dare il proprio contributo alla società attraverso il lavoro oppure è un diritto giuridicamente fondato solo in una repubblica comunista, dove, come l’esperienza dimostra, lo Stato garantisce un posto di lavoro sì a tutti, ma con l’imprevisto che ognuno fa quello che lo Stato decide e alle sue condizioni con l’evidente conclusione della povertà per tutti.
Potremmo continuare con altri esempi.

Vediamo invece di capire meglio fin dove possiamo arrivare e quali confini dobbiamo rispettare.

La parola diritto è elementare e indica il procedere in linea retta. I fondatori del diritto, i Romani, usavano il termine ius, da cui giustizia, giuridico. I diritti nel senso attualmente in uso sono una parte del Diritto ( divieti, obblighi, libertà).

E’ curioso, molto curioso che negli ultimi decenni si sia perduto il senso dei due termini, Diritto e diritti, e si sia proceduto a fare di tutta l’erba un fascio: diritti e giusto vengono usati in modo indifferente come affermazione della sovranità individuale che un falso senso della democrazia ha trasformato in realtà indiscussa e indiscutibile. E’ su questo che si è diffuso il populismo per cui, come dice il clown pubblico, “uno vale uno”: questo è vero quando si deve contare le teste ( ad esempio alle elezioni) ma cessa di esserlo in tutte le altre situazioni, dove esiste un’organizzazione. La maggiore complessità dell’organizzazione sociale ha ridotto notevolmente la gerarchia e aumentato lo scambio orizzontale e reticolare: ma non ha annullato il ruolo di direzione. Chi dirige ha dei diritti e dei doveri, come previsto a livello istituzionale.

Oggi invece ognuno pretende che la sua opinione debba essere riconosciuta come valida, non come opinione in una discussione, ma come azione: il caso dei vaccini è esemplare. Dall’uso improprio della parola diritti ne consegue la pressione di gruppi che vorrebbero imporre il proprio punto di vista: i diritti sono cresciuti a dismisura e contemporaneamente l’uso della parola “giusto”. Quante volte gli insegnanti si sentono dire dai propri studenti “non è giusto!” o i genitori dai propri figli “non è giusto!” e i pagliacci in Parlamento “non è gisto!”. Legittima l’opinione personale o di partito che non condivide questa o quella pratica, ma GIUSTO deriva da IUS e vuol dire secondo LEGGE: se non si è d’accordo si organizzino tutte quelle manifestazioni che -grazie a Dio- lo Stato democratico ci permette, con l’obbiettivo di cambiare la legge attualmente in vigore.

Schizofrenia democratica, per cui i diritti stabiliti dalle diverse norme diventano il via libera per essere autorizzati a fare qualsiasi cosa, tutto e il contrario di tutto: come successe anni fa per quel vigile urbano di Firenze che pretendeva di non portare le armi di ordinanza perchè pacifista.

Trasformando il diritto da termine giuridicamente fondato in parola generica (giusto) oltre a una illegittima pretesa si crea l’azione moralista di chi criminalizza chi non riconosce quel “giusto”. Il disastro è emerso con la presenza musulmana in Europa: per anni si è nascosta-accettata la prassi della infibulazione e della cliteridectomia, deturpazioni del corpo della donna, prassi della religione islamica, giustificando il tutto con il rispetto per le tradizioni culturali.
Quanto diversa l’India! La tradizione portava al rogo delle mogli vive alla morte del marito: pratica vietata dalla Legge indiana e, purtroppo, ancora praticata. Ma lo Stato Indiano, una Repubblica
liberal-democratica, non transige: non esiste spazio per culture che hanno al loro interno tradizioni di questo tipo.

Si comincia con il ritenere giusto qualcosa e poi si passa a dichiarare questo qualcosa non più semplicemente giusto, ma un diritto, qualcosa che ci deve essere dato. Ed ecco “i diritti acquisiti”, “il diritto a scegliere la propria sessualità”, “il diritto a una alimentazione naturale”, “il diritto alle 35 ore”, “il diritto al benessere”, “il diritto alla casa” e, tanto per non dilungarmi, “il diritto al successo formativo” (DPR 275/99: la scuola deve garantire il successo formativo”). Ora, avendo vissuto nella scuola per tanti anni posso dire questo: la legge probabilmente intendeva altro, ma ciò che conta è che da allora in poi genitori e studenti hanno dato la colpa ai docenti e alla scuola se i ragazzi non ottenevano la promozione, perchè non era stato fatto quanto dovevano per aiutarli a raggiungere la promozione: e così la scuola ha perso la bussola, gli studenti studiano poco, tanto in genere poi vengono promossi e, se non lo sono, si sa contro chi puntare il dito.

Per fortuna questi campioni del diritto hanno deciso di rallentare i propri passi, ma non si sa mai: forse sentiremo parlare di “diritto all’eternità” e di “diritto al Paradiso”.
Amen.

** La democrazia non può essere una parola vuota. La democrazia ateniese era qualcosa di ben definito, ma diverso dalla liberaldemocrazia. Le cosiddette democrazie popolari dell’Europa dell’Est (Repubblica Democratica Tedesca ecc.) vissute tra il 1945 e il 1990 erano vere e proprie dittature di cui si è visto tutto l’orrore solo dopo il crollo del Muro di Berlino. Oggi è l’ONU a mostrare questo lato schizofrenico, di un’Organizzazione che da un lato pretende di essere democratica perchè ogni Paese ha diritto di voto, ma dall’altro sono equiparati, messi sullo stesso piano stati liberaldemocratici e stati dittatoriali.
 Nel settembre 2015 un rappresentante dell'Arabia Saudita fu nominato a capo del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu, nonostante il Paese detenga uno tra i più alti numeri di esecuzioni capitali del mondo e le violazioni dei diritti umani siano all’ordine del giorno.
Nell’aprile 2017 l’Arabia Saudita è stata nominata, per i prossimi quattro anni,  tra i 45 membri che costituiscono la Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (Uncsw), l’organismo Onu più impegnato nella lotta per l’uguaglianza di genere e l’avanzamento delle donne. Una nomina in contrasto con la situazione interna alla monarchia del Golfo che occupa la 141esima posizione su 144 del Report sulla Disparità di Genere 2016 del Forum Economico Mondiale. Giustamente fu detto: “è come mettere un piromane a capo dei pompieri”.
Regolarmente l’ONU esprime condanne nei confronti di Israele solo per il peso numerico che hanno i Paesi Islamici, quasi tutte dittature che non sanno minimamente cosa sia la libertà di opinione, di religione, delle donne, di manifestazione....
Questo succede quando non si vogliono porre limiti e ci si illude che basti un’organizzazione indifferenziata per risolvere i problemi sempre più complessi del mondo. Di fronte a questi continui fallimenti dell’ONU correttamente da più parti è stato proposto di creare un’organizzazione di stati liberaldemocratici che per lo meno hanno delle fondamenta comuni. Non c’è dubbio che la globalizzazione ha posto nuovi problemi esigendo una sempre maggiore attenzione al Diritto Internazionale, ma per ora siamo ancora nell’ambito degli Stati Nazione. Molto si sta facendo sia in termini di uso delle risorse sia per quanto riguarda gli scambi commerciali sia dal punto di vista dell’ambiente, ma ATTENZIONE: occorre evitare che esigenze legittime, trasformate in prese di posizione moralistiche, pretendano di imporsi e sostituirsi al Diritto.

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